giovedì, dicembre 15, 2005

Tra razzismo e indifferenza: la vera storia di Astutillo Malgioglio

Stavo facendo una ricerca sugli ex giocatori dell'Inter. Stranamente cercando Astutillo Malgioglio su Google non trovavo molte informazioni sull'Inter ma pagine e pagine sulla Lazio. Mi sono insospettito e ho voluto approfondire, non conoscendo affatto la storia di questo portiere dal nome buffo che portava i baffi e non giocava quasi mai. Lo ricordavo come la riserva scudettata di Zenga. Un portiere piuttosto mediocre.
Poi mi sono documentato e ho trovato una sua intervista del 2002, davvero toccante. Ho scoperto che alla Lazio ha giocato anche un "anti-Di Canio", ho scoperto che Astutillo Malgioglio, piccolo in campo era ed è un grande fuori. Vi posto l'intervista nella speranza che i tifosi che oggi vanno allo stadio a far teatrini politici riflettano e si fermino un attimo (soprattutto quelli della Lazio). Sinceramente sono rimasto davvero disgustato dallo striscione "Tornatene dai tuoi mostri".
Vale la pena, leggetela.
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Il calcio business, tutto soldi e "fame di vittoria", persone come Astutillo
Malgioglio non le vuole, non sa che farsene, anzi ne ha paura. Di sicuro non
se le merita. La voce bassa, le parole piene d'amarezza. Malgioglio, 43 anni
ex portiere di Brescia, Roma, Lazio, Inter e Atalanta, racconta la sua
storia. Da giocatore ha sempre diviso il suo tempo tra i campi di calcio e
l'aiuto ai bambini disabili. Un impegno costante che lo portò ad aprire un
centro di recupero a Piacenza, città dove è nato e adesso vive. Terminata la
carriera si è dedicato totalmente ai bambini handicappati, ma da un anno è
stato costretto a chiudere la palestra per mancanza di fondi. "Hanno vinto
loro. Mi hanno battuto. Da giocatore ho lottato tutti i giorni, per
continuare ad aiutare chi, al contrario di noi calciatori, non potrà correre
mai. Adesso che sono un ex, non ho più frecce nel mio arco, né forza per
combattere. Quello del calcio è un mondo senz'anima. Gira solo intorno a se
stesso e ai suoi piccoli drammi della domenica; ogni voce fuori dal coro è
un pericolo. E quando smetti, si spengono le luci. Nessuno si ricorda più di
te". Astutillo scava nel passato e ricorda: "Avevo 19 anni ed ero titolare
del Brescia in serie B quando, grazie ad un amico, visitai per la prima
volta un centro per disabili. Mi impressionò la loro emarginazione,
l'abbandono, il menefreghismo della gente. Fu un'emozione fortissima, un
pugno nello stomaco. I miei genitori si sono sempre impegnati nel sociale,
mi avevano già "insegnato" il rispetto e la solidarietà verso gli altri, ma
quel giorno tutto mi apparve chiaro. La vita non è solo una palla di cuoio.
Mi sono messo a studiare e mi sono specializzato nei problemi motori dei
bambini. Poi col primo ingaggio ho aperto una palestra ERA 77 (dalle
iniziali del nome di mia figlia Elena nata nel 1977, mia moglie Raffaella e
del mio). Lì offrivamo terapie gratuite ai bambini disabili. Li aiutavamo a
camminare, a muoversi da soli". Il tentativo di coinvolgere i compagni di
squadra, tranne rare eccezioni, non ha mai avuto successo: "I miliardari del
pallone dicono sempre di non avere tempo, di essere stressati. Per anni io
ho fatto la spola tra il campo d'allenamento e la palestra a Piacenza:
nessuno stress, solo la sensazione di essere un uomo migliore. Con i bambini
ottenevo la vittoria più importante, la parata da ricordare". Passi per
l'indifferenza. Ma c'era chi del suo impegno nel sociale gliene faceva
addirittura una colpa: "In tutta la carriera non ho mai saltato un
allenamento. Ero uno di quelli che si definiscono "professionisti
esemplari". Eppure, spesso, non bastava. Il bravo calciatore deve pensare
solo ed esclusivamente al calcio. Qualsiasi altro interesse è visto come una
pericolosa distrazione, anche quando aiuti dei ragazzi handicappati. Hai
sempre gli occhi di tutti puntati addosso: compagni, dirigenti, tifosi. Devi
rendere al 110% per non sentire le chiacchiere odiose e disumane degli
sciocchi". E ad ogni umano errore l'ignobile commento: "Quello pensa agli
handicappati invece che a parare.Ho visto Juve-Chievo - continua
Malgioglio - e la papera di Buffon sul primo gol: può capitare di perdere la
palla in un'uscita. Ma fosse capitato a me mi avrebbero massacrato". In
carriera Malgioglio ha cambiato diverse maglie. Dovunque è andato ha
continuato ad aiutare chi aveva bisogno: "Nel 1983 sono arrivato alla Roma.
Dei due anni in giallorosso conservo ricordi splendidi. Ho avuto ottimi
rapporti con tutti. La società mi è sempre venuta incontro: portavo i
bambini disabili a Trigoria per la rieducazione, usavo la palestra della
squadra dopo l'allenamento". Tra i compagni dell'epoca il ricordo più forte
va a un indimenticabile campione che dal calcio è stato tradito fino alle
estreme conseguenze: "Di Bartolomei, il nostro capitano, aveva una
sensibilità particolare. Come me parlava poco, ma aveva un cuore grande.
Andavamo spesso negli ospedali a trovare i bambini che erano in terapia
intensiva". Ma Roma porta alla mente non solo i successi sportivi, la finale
di Coppa dei campioni e la possibilità di continuare ad impegnarsi nel
sociale. Il tono di Astutillo si fa più basso e malinconico: "Dopo due anni
in giallorosso passai alla Lazio, in serie B. Fu una stagione tormentata in
cui vissi l'episodio più triste della mia carriera. La squadra stentava, la
società era assente e disorganizzata, i tifosi non mi lasciavano in pace.
Criticavano il mio impegno fuori dal campo, insultavano la mia famiglia. Mi
sono sempre chiesto il perché di tanto odio; non ho mai preteso applausi,
solo un po' di rispetto. In casa col Vicenza perdemmo 4 a 3 e il pubblico si
scatenò. Fischi continui a ogni mio intervento, fino a quando comparve uno
striscione in curva: "Tornatene dai tuoi mostri". Alla fine della partita mi
sfilai la maglia, la calpestai, ci sputai sopra e la tirai ai tifosi. Sono
un uomo anch'io. La società chiese la mia radiazione. Dello striscione
invece non parlò nessuno". Chi non avrebbe fatto la stessa cosa? Eppure
Malgioglio ci tiene a precisare. "Quello che mi ferì di più, non furono le
cattiverie nei miei confronti ma la totale mancanza di rispetto, di
solidarietà, di pietà per quei bambini sfortunati che non c'entravano
niente. "Mostri", così li hanno chiamati. Il giorno dopo a Piacenza ho visto
i genitori di quei bambini, che mi guardavano negli occhi. Non sapevo cosa
dire. Mi sono vergognato per quei tifosi. Molti di quei bambini oggi non ci
sono più". Aveva deciso di smettere quando arrivò la telefonata di
Trapattoni: "Non è giusto che uno come te lasci il calcio" mi disse. Firmai
in bianco e restai all'Inter cinque anni, vincendo l'ultimo scudetto
nerazzurro. Con gli ingaggi rinnovai la palestra con attrezzature
all'avanguardia.Venivano da tutta Italia per fare rieducazione nel mio
centro". Il destino volle che molti anni dopo, il 4 marzo del 1990 giorno di
Lazio-Inter, Zenga, il titolare, fosse squalificato: "Giocavamo al Flaminio,
perché l'Olimpico era in ristrutturazione in vista dei Mondiali. Trapattoni
non ebbe alcun dubbio: vai in campo - mi disse - non sentire i fischi che
arriveranno, dimostra che uomo e che portiere sei. Il clima era teso, il
presidente Pellegrini mi chiese di portare dei fiori alla curva laziale per
non far scatenare i tifosi, c'era il rischio di incidenti. Io gli risposi
che non sarebbe servito a niente, ma a malincuore portai quei fiori".
Risultato? "La partita iniziò con 15 minuti di ritardo per lancio di oggetti
contro la mia porta. Mi dissero di tutto. Perdemmo 2 a 1 ma fui il migliore
in campo. Fummo bloccati negli spogliatoi per parecchio tempo. I tifosi
volevano assalirmi". Sembra assurdo ma una parte di imbecilli invece di
chiedere scusa a Malgioglio, ancora lo insulta: "Sono tornato a Roma a fine
carriera. Una volta per parlare ad un convegno sui problemi dei disabili,
all'uscita, per strada mi hanno riconosciuto e insultato". A 34 anni
Astutillo ha chiuso la carriera nell'Atalanta a causa di una serie di
gravissimi problemi fisici che ancora lo tormentano. Da un anno purtroppo il
suo centro di rieducazione è chiuso: "La salute e la mancanza di fondi mi
hanno costretto a chiudere la palestra. Io ho di che vivere, non chiedo
niente a nessuno. Ma la struttura costa molto e non me la sento di far
pagare i pazienti. Ora faccio quel che posso seguendo i casi più gravi a
domicilio. Ho ancora tanti macchinari, alcuni fatti fare su misura. Non so a
chi darli, un centro come ERA 77 rappresentava un unicum in Italia. E' un
peccato sia finita così". Dal mondo del calcio, neanche a dirlo, nessun
aiuto, nessun interesse: "Finchè fai parte di quel mondo, riesci ancora a
coinvolgere qualcuno, ad attirare l'interesse. Una volta finito di giocare
però nessuno si ricorda più di te. Non mi è mai piaciuto bussare alla porta
della gente, ho cercato di sensibilizzare tante persone. Ma ognuno deve fare
ciò che si sente". C'è un compagno che Malgioglio non dimentica: "Klinsmann
mi è sempre stato vicino. Ha seguito la mia attività per anni, aiutandomi
molto". Non ne fa un dramma, ma si sente che gli dispiace essere stato
dimenticato da tutte le sue ex società: "Eppure in un recente sondaggio sono
stato eletto miglior portiere della storia del Brescia e c'ero anch'io
nell'Inter che ha vinto l'ultimo scudetto. Ma non ho mai ricevuto un invito,
neanche per vedere una partita. Pazienza, così va la vita". Se fosse
arrivata una proposta sarebbe rimasto nel mondo del calcio? "Mi sarebbe
piaciuto lavorare con le giovanili. Ma uno come me è "pericoloso": mi
batterei contro la tratta dei baby calciatori che arrivano dall'estero,
bambini che vengono strappati dal loro ambiente. Dove finiscono tutti quelli
che non sfondano nel calcio? Se potessi, ad un ragazzo cercherei di far
capire l'importanza dello studio, del rispetto verso gli altri, e gli direi
che il gol più bello è aiutare chi ha bisogno. Perchè il calcio è un gioco,
ma la vita è un'altra cosa". Già la vita, quella che Malgioglio e sua
moglie, premiati dall'Unesco, continuano a spendere aiutando gli altri: "Mi
ha chiamato un'organizzazione cattolica, i frati trappisti di Lodi, per la
creazione di un centro per bambini abbandonati. Voglio aiutarli, le mie
macchine potrebbero ricominciare a lavorare". Chiudiamo con un'ultima
considerazione: oggi spesso la solidarietà nel mondo del pallone è solo di
facciata. Malgioglio sospira: "Un'amichevole a Natale, un sorriso alle
telecamere, una frase di circostanza e tutti a casa. Quanti dedicano davvero
qualche ora a chi soffre? So di Tommasi e pochi altri. Mosche bianche in un
mondo di ricchi, fortunati e.ciechi. Immagino le loro difficoltà. E quando
finiranno di giocare, saranno dimenticati. Perchè il calcio non ti perdona
niente, neanche la solidarietà".

16 commenti:

Anonimo ha detto...

Il mondo del calcio spesso offre spunti per spiegare molte altre cose. Nella fattispecie, quel giorno dello sputo sulla maglia ero lì allo stadio, certo ero molto arrabbiato con lui. Ma come spesso accade, tutto si tramutò in un "forti contro i deboli". Roba da vergognarsi: ma noi italiani siamo spesso così.

Saluti, Enrico

Frank Morris ha detto...

Ciao Enrico grazie del tuo prezioso contributo.

Anonimo ha detto...

Ciao, posso postare il tuo intervento e quello di Malgioglio sul mio blog (www.saurosandroni.splinder.com) citando le varie fonti? Credo che una cosa del genere debba avere la massima diffusione.

Sauro

Frank Morris ha detto...

Certamente, purché venga citata la fonte www.parolelibere.com

Anonimo ha detto...

Grazie. naturalmente metterò il link. So che studi a Pisa: sono arrivato al tuo blog tramite la sign che lasci sul newsgruop di Pisa... (link, blog, newsgroup... mi par d'esse diventato inglese...)

Anonimo ha detto...

Perchè Astutillo non chiede aiuto al Presidente dell'Inter Moratti?
E' un uomo generoso, so che aiuta l'attività di Gino Strada con l'organizzazione Emergency in Afghanistan! Certamente persone come l'ex-portiere dovrebbero essere più numerose in una società che vuole solo apparire e non sa vedere chi soffre accanto a noi!

Anonimo ha detto...

a merda torna dai tuoi mostri lurido verme se te pijo te sgozzo a te e la tua famiglia
ultras lazio

Staff siticom ha detto...

Solidarietà per te. . .da un tifoso laziale
gli altri che dicono ste cose. . so dementi!

Anonimo ha detto...

Ero allo stadio in quanto tifoso della Lazio e quello striscione per quanto mi riguarda non è mai apparso e nessuno dei frequentatori dello stadio si ricorda alcunchè.
Per 20 anni nessuno ne ha saputo niente, adesso esce fuori questa storia che reputo assurda, senza voler andare a pensar a secondi fini.

Immagino la critica immediata da parte di qualcuno: vabbè siete di parte.

Vi assicuro che non appartengo alla parte becera del tifo, e che non ho avuto la minima esitazione nel condannare tanti episodi avvenuti nella curva e non solo.

Erano periodi caldi e lui veniva dalla roma che rischiava di vincere campionati e coppe europee, mentre la Lazio navigava in acque meste nella serie cadetta.

Non nego che non era ben visto per questo nè dai Laziali che lo vedevano come nemico nè dai romanisti che lo reputavano un traditore, mentre per la sua attività extra-calcistica era senz'altro una persona apprezzata.

Quel giorno famoso fece 3/4 papere su altrettanti gol fatti dal Vicenza e montò una vivace (tanto per usare un eufemismo) contestazione.
Ripeto che il contesto era roma vincente in serie A e Lazio in serie B, e gli animi si scaldarono parecchio.
D'altronde anni dopo, il giorno seguente lo scudetto 99-00 della Lazio, al Giannini Day i romanisti distrussero lo stadio, tanto per dire qui a Roma come si vivono, sicuramente in modo eccessivo da entrambe le parti, certe situazioni.

Lui reagì in quel modo sputando sulla maglia a tirandola ai tifosi.
La contestazione fu forte ma nessuno striscione apparve (d'altronde portare uno striscione da casa nella "speranza" che il portiere della tua squadra giochi male sarebbe follia pensarlo). Io non sentii nessun commento sui suoi ragazzi, mentre su di lui....vabbè sorvoliamo.

E' possibile che nelle parti più calde e becere del tifo sia uscito pure qualche commento del genere ed è ovviamente da stigmatizzare, ma non fu una cosa preparata come Malgioglio lascia intendere, e soprattutto furono, EVENTUALMENTE, casi isolati e dettati dall'ira del momento.

Onore a Malgioglio per la sua attività, meno per la reazione a caldo di quel giorno (che posso comunque arrivare anche a comprendere).

Sono invece molto perplesso per questi strani ricordi postumi di cui nè tifosi ( e vabbè) nè giornalisti, forze dell'ordine, presenti vari allo stadio ne hanno traccia.

Posto questo commento come anonimo, se serve un riferimento/contatto come persona sono pronto in privato a darvelo.

paperboy ha detto...

Ciao a tutti.
E' strano che dopo oltre tre anni mi ritrovi numerose visite e commenti relativamente a questo post. Mi dispiace che i tifosi della Lazio si siano risentiti, anche se è apprezzabile che qualcuno abbia almeno la coscienza del dubbio.
Quello che posso dire è che non ho assistito realmente ai fatti e che le informazioni le ho trovate in rete, probabilmente tratte da un giornale filo romanista. Quello che però colpisce è la vicenda umana, francamente a me non interessa molto di Roma e Lazio.

Anonimo ha detto...

Ciao,
sono l'anonimo del post sopra e sono amministratore di un sito di tifosi della Lazio.

Uno dei Nostri iscritti ha trovato questo articolo sul web e ha chiesto lumi sul nostro forum sull'accaduto; si è avuta la discussione sull'argomento, per questo trovi alcuni messaggi in questi giorni.

Purtroppo, al di là della vicenda umana di Malgioglio che posso capire, quello che ci riguarda è lo sparare a zero sulla tifoseria Laziale ogni qual volta sia possibile. E il signor Malgioglio ne ha approfittato per motivi suoi che non voglio sindacare.

Se per beneficio del dubbio intendevi il mio post, confermo più chiaramente che dubbi non ne ho: quello striscione non c'era.
Come nei miei pressi non sono volate parole grosse contro i suoi ragazzi.

Sarebbe magari utile mutare il titolo dell'articolo in " Tra razzismo e indifferenza: la storia raccontata da Astutillo Malgioglio" perchè sul tutto vero almeno nell'episodio che ci riguarda nutro dei fortissimi dubbi.

Un cordiale saluto.

Franco ha detto...

Nel dubbio credo a Malgioglio.
Del resto striscioni vomitevoli come "Onore alla tigre Arkan" e "Roma squadra di negri ed ebrei" sono realmente apparsi in curva laziale.
Quindi credo sia meglio fare autocritica piuttosto che sterile difensivismo.
Ovviamente altri striscioni vergognosi sono apparsi piu' o meno in tutte le curve d'Italia, giustamente si deve distinguere dove è sano sfottò, e dove invece si scade nel vomito. Ogni curva ha episodi da "vomito". Quindi dire che si attacca la curva laziale, quando a nessuno frega niente che sia Roma, Lazio, Milan, Inter....è sbagliato.
Si ricordava solo Malgioglio.

Assicuri blog ha detto...

Ciao, grazie del tuo ottimo contributo e per avere affrontato una pagina così meritevole di attenzione della storia del calcio italiano!

Anonimo ha detto...

Miglior portiere della storia del Brescia?
hahahahahhahaha
forse gli hann odato il premio per meriti sociali.
Ma come portiere era imbarazzante, uno dei peggiori mai visti in serie A inseme a saponetta Mattolini.
E lo dico da tifoso del Brescia.
Grande persona, ma portiere penoso.
Auguri

Anonimo ha detto...

In questi giorni si parla molto di cori razzisti, di razzismo territoriale ecc.. Credo che quello esposto dai tifosi della lazio si di gran lunga lo striscione più riprovevole della storia. Non mi meraviglio che questa tifoseria a distanza di anni ancora non abbia capito la lezione e in Europa puntualmente lascia la propria squadra sola in uno stadio chiuso per demenza.

Anonimo ha detto...

IL TIFO LAZIALE è SOLO MERDA